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La giornata indimenticabile di Papa Francesco a Genova

La visita di Papa Francesco è durata circa 12 ore, tanto intense quanto emozionanti. Una giornata indimenticabile per tutti coloro che l’hanno vissuta profondamente.

La visita di Papa Francesco a Genova ha lasciato il segno in città, non soltanto nei cuori di chi è riuscito ad avvicinarsi abbastanza da stringergli la mano e ricevere un sorriso o un saluto, ma anche per chi ha vissuto in prima persona le tante misure adottate per garantire la sicurezza del Papa e delle migliaia di fedeli arrivati nel capoluogo ligure per partecipare alla messa conclusiva in piazzale Kennedy, o anche soltanto per vederlo passare a bordo della Papamobile.“

La Parrocchia San Francesco della quale facciamo parti noi suore del Cenacolo Domenicano, siamo andate con i ragazzi della Cresima e della prima Comunione insieme alle catechiste. Abbiamo vissuto un momento speciale, pieno di gioia e desiderio di avvicinarci il più vicino possibile al Santo Padre e siamo riusciti in parte.

Nella cattedrale il Papa ha incontrato il clero, i seminaristi, i religiosi, i collaboratori laici della Curia e i rappresentanti delle altre confessioni. Qui riporto parte del messaggio che ci ha rivolto a noi consacrati.

«La diocesanità è la porzione del popolo di Dio che ha la faccia: nella diocesanità c’è la faccia del popolo di Dio. La diocesi ha fatto, fa e farà la storia». Ne è convinto il Papa, che nella parte finale del discorso al clero e ai religiosi di Genova ha fatto notare che «tutti siamo inseriti nella diocesanità, e questo ci aiuta a far sì che la nostra fede non sia teorica ma sia pratica». «Ogni carisma è un regalo per la Chiesa universale», ha ricordato Francesco, ma «tutti i carismi nascono in un posto concreto, molto unito alla vita di quella diocesi concreta. Non nascono dall’aria. Poi il carisma cresce, cresce, cresce e ha un carattere molto universale, ma sempre con la radice nella diocesanità». «Se diciamo francescani, quale posto ci viene in mente? Assisi», l’esempio citato: «Questo ci insegna ad amare la gente nei posti concreti: la concretezza della Chiesa la dà la diocesanità. Questo non vuol dire uccidere un carisma, aiuta il carisma a farsi più reale, più visibile, più vicino. Quando l’universalità di un istituto religioso si dimentica di inserirsi nei posti concreti, delle diocesi concrete, quest’ordine religioso alla fine si dimentica da dove è nato. Si universalizza al modo delle Nazioni Unite. Non c’è quella concretezza della diocesanità. Istituti religiosi volanti non esistono: la radice è sempre la diocesi, e responsabile è il vescovo. Un carisma che abbia la pretesa di non prendere sul serio l’aspetto della diocesanità e si rifugia soltanto negli aspetti ad intra, lo porterà a una spiritualità autoreferenziale e non universale». Altra parola chiave affidata ai religiosi: «disponibilità», per «andare dove c’è più bisogno, più necessità», verso «tutte le periferie, non solo quelle della povertà, anche quelle del pensiero, tutte». Disponibilità, per il Papa, è anche «revisione delle opere», che implica la capacità di «essere disponibili ad andare oltre, sempre oltre. Non aver paura dei rischi».